Ciao, oggi una puntata diversa che vediamo se vi piace, nel caso ditecelo così ve ne portiamo di più. Ci spingiamo nel mondo dei libri e parliamo di scrittura su carta. Inoltre l’intervista è scritta da Elisa e non da Andrea. Chi è Elisa? Ma che vi interessa, dài.
Luca Tosi è nato a Cesena ma vive a Bologna. Anagraficamente è tutto quello che dovete sapere per leggere quanto segue. Come informazioni in più: Tosi scrive, a quanto pare tantissimo. Ha vari racconti all’attivo pubblicati su «Futura» (newsletter del «Corriere della Sera»), minima&moralia, «’tina» (rivista di Matteo B. Bianchi) e nelle antologie Matti di guerra (Morellini Editore), curata da Andrea Tarabbia, e Cuore di Pietra (Skinnerboox), curata da Federico Clavarino e Wu Ming 2.
Il suo romanzo d’esordio è Ragazza senza prefazione (TerraRossa Edizioni, 2022), ed è lì che l’ho intercettato. Ragazza è un romanzo breve (o un racconto lungo), sotto le 100 pagine, in un adorabile volumetto tascabile. Racconta la storia (o forse i pensieri) di Marcello, un ventiseienne qualunque di Santarcangelo di Romagna a cui tutto va storto: odia il paese e le persone che ci abitano, ma non riesce a levarsi di torno. È stato fuori per la laurea ma ora è tornato, e tutto quello studio gli pare solo un pezzo di carta. La verità è che Marcello sa che cosa lo interessa: una ragazza, conosciuta anni prima e con cui sono rimaste alcune emozioni in sospeso.
ELISA TENEGGI: Ciao Luca. Aprirei questa chiacchierata cominciando da un aspetto fondamentale del libro: a p.51 dici che Santarcangelo è diventato «il paese romagnolo ricco. Si trasferiscono qui da Cesena, Rimini… Tutte teste quadre.» Ora, io sono di Reggio Emilia, e da me i Bagoli (parmensi e parmigiani) ci chiamano teste quadre per dire che siamo contadini testardi e un po’ tonti. È anche l’appellativo di orgoglio con cui si presentano alle partite gli Ultras della Regia. Quindi: perché quelli che si trasferiscono a Santarcangelo sono teste quadre?
LUCA TOSI: Oddio, no, non sapevo di ’sta cosa degli ultras reggiani. Tra l’altro io tengo per il Cesena e quest’anno c’avete fregato, chiusa parentesi. Con “testa quadrata”, dalle mie parti s’intende una persona pragmatica, che va dritta al sodo, che calcola, in qualche modo, mentre “testa quadra” sta più per lo svitato, uno che si è svegliato dalla parte dei piedi. Ho giocato dentro questa ambivalenza: Marcello, il protagonista del mio romanzo, dà delle teste quadre a quelli coi soldi che si trasferiscono a Santarcangelo, che è sempre più un paesino “quadrato”, ma con un tono, come per dire: come siete messi? Che roba è, trasferirsi da Cesena, Rimini, a Santarcangelo? In quel passo del libro Marcello è accerchiato, sotto torchio, così infanga l’attrattiva che ha oggi Santarcangelo, dato l’infighettimento che ha intrapreso. Ma i nuovi residenti non sono gente come lui, sono fighetti, appunto. Insomma, teste quadre è questo.
E.T. Ragazza senza prefazione è un libro strano. A me piacciono i libri strani, ma la maggior parte delle volte chi non vede un romanzo di almeno 200 pagine si spaventa. Allo stesso tempo, credo che per un autore sia fondamentale transitare dal punto in cui prende coscienza della lunghezza dell’opera, quanto può reggere l’idea che ha avuto. Com’è avvenuto questo per te, e in che momento? A valle o a monte della scrittura?
L.T. La nonna di una mia amica dice che, per capir se un libro è buono, bisogna aprirlo a pagina 100 e leggere lì. Ecco, Ragazza senza prefazione arriva a pagina 91. È un romanzo? Una novella? Un racconto lungo? Per me è un romanzo, però breve. Comunque un romanzo. È che ero partito con l’idea di scriver un romanzo, e l’ho scritto, solo che poi ne ho tagliato più di metà. Per un’esigenza di controllo, credo, o mania. Per sbagliare di meno. Era anche un periodo, quello, in cui leggevo soprattutto libri corti, tipo Lo stadio di Wimbledon di Del Giudice, La Fondazione di Raffaello Baldini, Bassotuba non c’è di Nori, insomma, cercavo una forma senza digressioni, vicina al monologo teatrale. Mi sono messo in buca, però, perché pochissime case editrici hanno a catalogo libri così. Una major m’aveva chiesto di allungarlo, ho risposto di no: avevo passato mesi e mesi a tagliare, non potevo più tornare indietro, dovevo seguire la mia strada. E poi mi piaceva l’idea che il libro avesse un tempo di lettura pari a una passeggiata, due ore, due ore e mezzo, che è proprio la passeggiata che fa Marcello nel romanzo.
E.T. Facciamo un passo indietro. Non credo che abbia molto senso parlare di “quanto ci hai messo a scrivere Ragazza” perché tanto poi arriva l’editing e siamo fritti. Invece, vorrei chiederti com’è stata la gestazione dell’opera, quando la prima scintilla e poi la prima emozione di sentire il testo realizzato sotto le tue mani.
L.T. La scintilla c’è stata. Di notte. Ero tornato dai miei genitori, a Santarcangelo, dopo alcuni mesi a Malta. Era fine agosto del 2018. Una mattina son partito per la Val Camonica, volevo stare in una baita da solo per due settimane, scrivere e basta. Sei ore di macchina, quattro borse della spesa, sono arrivato là, montagne, silenzio, la baita lercia, mi son detto: non è per me. Sono ripartito subito, altre sei ore di macchina per tornare a Santarcangelo. La notte successiva mi sono svegliato, alle due, tipo, mio babbo che russava dalla sua camera, mi son alzato, ho preso il computer e mi son messo in cucina, con un bicchiere di vino. Mi son detto: scrivi, fa’ vedere un po’. Questa, la scintilla. La mattina dopo sono uscito col computer nello zaino, camminavo per Santarcangelo, mi venivan delle idee, mi sedevo sulla panchina e scrivevo, e finite le idee riprendevo a camminare. Così per due settimane, circa, e avevo già una prima stesura. Da questo alla pubblicazione ci sono stati in mezzo più di tre anni: revisioni, tagli, contatti, attese, ripensamenti, fino a TerraRossa. Aver il libro stampato in mano è stato liberatorio, insomma, lungo la strada fin lì avevo preso tutti semafori rossi, era venuto il verde, finalmente.
E.T. Secondo me, scrivere è mestiere artigiano. Il che è fattualmente vero perché ricorriamo ancora quasi tutti alle mani per farlo. Ma c’è anche di più: la scelta delle parole, come articolarle in bocca, la scansione del ritmo. Non so se per te la scrittura è artigiana, però la tua prosa è muschiosa, sta proprio all’inizio di tutto, nella parlata. A me piace quando le parole suonano vere. Che ti succede, dunque, quando ti metti a scrivere?
L.T. Mi rendo conto di star attaccato alla pagina, alle parole. Solo questo. La storia, i personaggi, il resto, per me sono fattori che vengono dopo, o che proprio non vengono. Mi interessano le parole, il linguaggio, la voce. Io scrivo in questo senso. Sul resto mi devo sforzare molto, uscire da quello che mi piace fare e pescare idee, compromessi a volte, per amalgamare una credibilità, una trama che tenga i fili. Ragazza senza prefazione l’ho scritto pensando in dialetto romagnolo e auto-traducendomi battendo al computer: una specie di dialetto mentale che mi son ritrovato dentro leggendo gli autori di Santarcangelo di Romagna, appunto, che sono Raffaello Baldini, Nino Pedretti e Tonino Guerra. Scrivevano in dialetto. È stata la molla giusta, con questo “tramite” linguistico posso dire quello che voglio senza cercar le frasi chissà dove, le ho in casa, nella pancia. Poi vabbè, è servito per buttar fuori, riempire i fogli, ma io mi massacro, rileggo, riscrivo, rigiro, ci metto una vita. Passa un anno, e magari ho la voce che volevo sulle pagine, però manca ancora tutto il resto. Lì cerco soluzioni. O così o niente.
E.T. La provincia fa schifo (forse su questo concordiamo), però ci trovi le storie bellissime (forse concordiamo anche su questo). Io dalla mia me ne sono volata a 18 anni ma staccata mai. Parlavo con un regista più o meno della tua età, Francesco Sossai, che ha vissuto fuori ma fa sempre opere sulla zona dov’è nato e cresciuto, il bellunese. Siamo arrivati a concludere che se a 7 anni vedi un albero in provincia, quando penserai a un albero sarà sempre quello, e quindi sarai sempre dentro la provincia. Tu che ne pensi?
L.T. Guarda, ho scritto sempre o solo di provincia, è che proprio torno là con la testa quando mi metto a scrivere. Io abito a Bologna da diversi anni, ma è come se l’avessi fondata a Santarcangelo la mia scrittura, la sede centrale, io sono la filiale. D’accordissimo sulla cosa dell’albero, è vero. Pensavo stamattina, che non so come mai, mi ricordo per filo e per segno di un episodio da niente. Giocavo a basket, avrò avuto sei, sette anni: avevo rubato la palla al bambino più forte dell’altra squadra (il Rimini, odiatissimo, delle teste quadre), ero volato a far canestro e l’avevo sbagliato. Una parabola, in un massimo di quattro o cinque secondi di gioco. Sono i sentimenti di base che poi ti porti dietro, hanno i contorni calcati sulle forme del posto che ti ha cresciuto, e le altre esperienze, gli altri sentimenti che ti capitano dopo, negli anni, in qualche modo sono variazioni sul tema di un già visto, che riconduci, a ritroso, alla tua provincia.
E.T. Ma tu che fai adesso, tra l’altro? Stai scrivendo?
L.T. Acqua in bocca, ma sì. Stamattina ho chiuso un testo. Chiuso per modo di dire, però insomma, c’è, e lì. È fresco, ha un anno. Vediamo.
E.T. Il viaggio della Ragazza-storia è un fulmine, la leggi in 2-3 ore. La Ragazza-libro, invece, è andata lontano, fino alla finale del Premio POP - Premio Opera Prima di Fondazione Mondadori (posso dire? Dovevi vincere, almeno-almeno per la cura editoriale, vabbè). Quando hai realizzato che stava succedendo?
L.T. Sulla cura editoriale non dico che ci speravamo, insomma, ma la sentivamo lì, era possibile. Ragazza senza prefazione è andato molto in là rispetto alle aspettative e credo che TerraRossa meritasse il riconoscimento, non per me, ma in quanto casa editrice che lavora tantissimo, e bene, sugli esordi. È stato comunque un gran risultato esser in cinquina, mettiamola così. In realtà mi rode. Scherzo, oppure no. In ogni caso è un cerchio che si chiude, almeno in me.
E.T. Il protagonista della Ragazza è ossessionato. Tutti lo siamo, credo. E molto spesso nell’ossessione si nasconde la speranza. Tu da che cosa sei speranzato/ossessionato?
L.T. Mi alzo alla mattina con il chiodo di scrivere, non lo nascondo, e vado a letto sapendo che non ho scritto abbastanza. In questo coagulano tutte le frette, le frenesie, l’ossessione, la speranza, i deliri e le botte sui denti. La mia lotta è ritagliarmi, in ogni modo, il tempo per scrivere, e per leggere, per darmi la possibilità di stare dentro questo coi pensieri, oltre il lavoro e il quotidiano. Bukowski diceva: “Per scrivere servono due cose, una macchina da scrivere e una sedia. A volte è difficile trovare la sedia”. Questa cosa, intendo. È una costante, se hai già esordito o meno ho capito che non sposta una foglia. Alla fine torni sempre lì, sulla sedia. E riparti da zero.
Grazie per aver letto in toto questa incursione. Magari ci sentiamo presto.